Wireless in Catalogna – day 2

Quindi dopo una notte in ostello, mi inoltro nella campagna ed arrivo alla stazione di Vic. Mi aspetto di trovarmi davanti un ragazzo della mia età, una specie di Nino in versione catalana, e invece vedo che Ramon è un signore sulla quarantina. Dopo le dovute presentazioni andiamo alla piazza centrale del paese, dove ci sono alcuni nodi di guifi, camuffati per rispettare i vincoli del centro storico.

Davanti ad un caffè, spiego a Ramon che in confronto alla loro rete, la nostra è molto piccola, e che uno dei motivi è il fatto che in Italia le leggi non sono favorevoli alla costruzione di reti wireless comunitarie, sia per quanto riguarda i collegamenti su suolo pubblico, sia per fornire Internet e per la data retention. Ramon mi dice che secondo una direttiva europea, cioè la 2002/20 (che ancora non ho avuto il tempo di leggere, n.d.a.), chiunque può diventare operatore di telecomunicazioni, e se si opera nella banda libera e senza scopo di lucro allora non c’è nemmeno bisogno di chiedere autorizzazioni. In più la direttiva dice che i Paesi membri dell’Unione Europea avevano un tempo limite entro il quale aderire, e dopo quel tempo sarebbe stata valida la direttiva anziché le leggi locali. Inoltre, tramite la fondazione guifi, ci potrebbero dare una mano su questo fronte.

Per quanto riguarda la campagna catalana, invece, non c’è banda larga fuori dai paesi, perché agli operatori non conviene. Ma visto che il comune ha la banda larga, e visto che questa viene pagata dai cittadini, invece di essere costretti ad andare in biblioteca negli orari stabiliti per fare una semplice ricerca scolastica, hanno pensato bene di mettere su una rete wireless. Con la partecipazione di comuni, privati cittadini e negozianti, che vendono nodi di livello professionale già pronti e/o si fanno pagare per eseguire le installazioni o operazioni di manutenzione, gufi è cresciuta molto in fretta, fino ad arrivare, appunto, a circa 7 mila nodi. E’ successo anche che una catena di supermercati della zona volesse collegare tra di loro i suoi edifici, e ci è riuscita passando attraverso guifi.

Quindi lasciamo la piazza principale di Vic per andare a fare un giro in campagna e per andare da una signora che ha dei problemi di collegamento. Per la strada, Ramon mi mostra alcune installazioni, spesso su edifici posseduti dal comune, in uno dei quali avevano addirittura una sala server di guifi. Da edifici piuttosto alti e con i 5Ghz (frequenza poco affollata ma che si sta riempendo in fretta), riescono a fare collegamenti lunghi e stabili, ma, mi dice Ramon, non come gli ateniesi, che sono i maghi del tuning (“they are very geeky”) e che riescono ad ottenere throughput da favola, provando a regolare tutti i parametri in tutti i modi.

Arriviamo quindi alla villa con i problemi di collegamento. Una simpatica signora ci accoglie e ci porta in balcone, dove noto subito una NanoStation, come quelle con cui stiamo smanettando ultimamente a Roma. Da lì parte un cavo fino al piano di sotto, dove c’è una scatola con un WRT, usato per connettersi da dentro la casa. Non risolviamo il problema, in parte perché la soluzione non è immediata (il WRT è morto e non sembra abbia intenzione di riprendersi), ed in parte perché dovrebbe essere chi ha fatto l’installazione ad essere richiamato per le operazioni di manutenzione, altrimenti la rete non scala.

Tornati in macchina, passiamo vicino all’autostrada e in alto, in cima a dei pali, ci sono delle telecamere di videosorveglianza. Sono la prova che sotto l’autostrada c’è connettività: fibra ottica, pagata dai cittadini e sfruttata soltanto in minima parte. Tramite la fondazione guifi sperano di riuscire ad avere la gestione anche della fibra ottica dell’autostrada e di consentirne quindi l’accesso a tutti. Un primo successo è stato il far firmare ad un sindaco delle vicinanze un documento in cui si dichiara l’intenzione di dar vita al progetto di interconnessione in fibra tra paesi (lo stesso progetto di cui mi aveva parlato Roger), ed in cui si coinvolge anche la fondazione.

A casa di Ramon c’è un piccolo traliccio con sopra quattro antenne puntate in direzioni diverse, connesse ad una Microtik. Ha un bell’ufficio-laboratorio, con vari computer, telefoni voip ed apparati sparsi. Quindi conosco la sua famiglia, con la quale pranzo, cercando di carpire i discorsi in catalano e gustando un fantastico gaspacho. Salutiamo, visto che Ramon mi da un passaggio fino in aeroporto.

Insomma, un’esperienza molto costruttiva che mi ha fatto capire che una rete comunitaria per essere messa in piedi ha bisogno di un impegno consistente dal punto di vista organizzativo e strutturale, che i buoni rapporti con le istituzioni possono dare una bella accelerata, che la componente tecnica è importante, ma che non deve essere per forza la priorità, anche se è la parte più divertente.

Spesso spiegando a qualcuno cos’è una rete wireless comunitaria mi sento come se parlassi di un’utopia irraggiungibile, mentre guifi è molto concreta: un esempio di modello di sviluppo alternativo messo in pratica che bisognerebbe far conoscere anche in Italia.

Ciao,
Clauz.

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9 Responses to “Wireless in Catalogna – day 2”

  1. Ieie Says:

    Grande Clauz bellissimo resoconto!!

  2. clauz Says:

    Hey, grazie!

  3. Ninux.org Wireless Community » Blog Archive » Wireless in Catalogna - day 1 Says:

    […] cosa è questa Wireless Community 🙂 « wireless community weekend 2009 – ritorno a casa Wireless in Catalogna – day 2 […]

  4. OrazioPirataDelloSpazio Says:

    Bel racconto Clauz! Me lo sono sparato tutto d’un fiato prima di andare a letto!

  5. kidy Says:

    7 mila nodi!!! semplicemente Magnifico !!

  6. mfp Says:

    Minchia Clauz… io non so se e’ la tua mente analitica sopraffina o loro che a forza di sbattere il grugno hanno collezionato una quantita’ incredibile di accorgimenti tecnici, logistici, economici, sociali. Tecnicamente e’ una rete tanto eterogenea (si puo’ dire “accozzaglia” senza risultare scortese?) che c’e’ da stupirsi che funziona… ma poi il risultato parla da se: 7000 nodi indicano che funziona da dio, altrimenti la gente ti da’ in culo e a 7000 non ci arrivi.
    E’ una realta’ incredibile, a cominciare da quando apri la mappa dei nodi e ti vedi 1/5 di Spagna coperto; e apparentemente senza conflittualita’ tra pubbliche amministrazioni, business, cittadini (fanno sistema; tutti ci guadagnano qualcosa). Bello bello bello.

    P.s.: ho provato a leggere la direttiva… ma non c’ho capito una mazza. Nel senso che ci sono troppi riferimenti e, col senno del poi, troppi provvedimenti italiani successivi (che potrebbero cioe’ aver modificato ulteriormente il quadro italiano). Riuscire a raccapezzarci qualcosa e’ un’opera per me colossale; improponibile.

  7. Clauz Says:

    Accidenti, se non ci riesci tu a capirci nulla sulla direttiva, figurati io che ho zero assoluto di dimestichezza con questa roba… :/

  8. mfp Says:

    Ma no Clauz… io mica sono un alieno eh… con sufficiente determinazione e tempo chiunque ci riesce (i codici sono sempre e solo una questione logica; che siano legali o informatici non cambia). E’ semplicemente una cosa talmente complessa che se non sei uno di quei 4-5 legali che hanno seguito le tlc dal 1997 ad oggi, per riuscire ad avere una visione corretta devi metterti a lavorare per 6 mesi! E fermo restando che hai sempre in testa due legislatori (europa e italia), un governo (schizofrenico, e non solo Berlusconi; io c’ho sbattuto il muso con Prodi ed era uguale), e una autority (AGCOM, che non dipende dal parlamento italiano!) che possono in qualunque momento cambiarti una virgoletta in un punto qualsiasi del codice e le tue considerazioni saltano tutte (nel senso che devi ripetere tutto il percorso per avere una qualche certezza di muoverti in armonia con la normativa). Fermo restando poi che quella virgoletta che hanno cambiato non fosse fatta a posta per impedirti di fare quello che stai facendo; allora rifai il percorso (Il Grande Culo, e gratis) per arrivare alla conclusione che non puoi procedere a norma di legge. Ne vale la pena? Per me bisogna procedere come suggerii la prima volta che vidi Nino e Saverio nel 2006: si fa un’associazione, si prende il patentino radioamatoriale (mi pare che i periti tecnici e gli ingegneri non devono fare l’esame), si eleggono formalmente le abitazioni abilitate a sedi dell’associazione, e si intestano le radio ai radioamatori, dopodiche’ tutta la rete e’ radioamatoriale. Oppure si da’ fiducia a quel mio amico di cui vi parlavo tempo fa (una persona fidata che da giovane ha lavorato in USA con Postel); che e’ iscritto al ROC, e’ un autonomous system, ha un dns, ha un datacenter, etc (in cambio bisognera’ chiedere X euro per pagargli le spese; ma non e’ la fine del mondo, perche’ sono spese che non crescono col numero di utenti… costo marginale tendente a zero… quindi all’inizio bisognera’ sborsare 10 euro a nodo per mantenere il map server, il ticketing system, coordinare gli installatori/manutentori, etc, ma piano piano questa cifra scende invece di aumentare). E qualunque cosa succede ci si limita a spiegare ad un eventuale giudice (chiunque esso sia, non parlo solo di giudici in un procedimento giudiziale; qualunque persona e istituzione ti stia vagliando) che al di la’ della complessita’ artificiale della normativa, si sta agendo in buona fede per ridurre il digital divide. Senza farsi un culo della madonna non motivato se non dalle esigenze di un legislatore schizofrenico che, di manina invisibile (cfr. wikipedia su Adam Smith) in manina invisibile (cfr. la manina che ogni santa volta che c’e’ una legge decente al vaglio, la tarpa con un ementamento immediatamente poco prima di essere approvata al secondo giro di Camera), cerca di normare un monopolio naturale gestito erroneamente a regime di mercato, e tutela non si sa quale ideologia economica fallimentare, interessi terzi, lobby, etc. . Non e’ cattiveria, e’ che proprio non ce lo possiamo permettere. Non stiamo facendo queste cose per lucro; se stai 10 ore al giorno a lavorare, con tutta la buona volonta’ di impegnarsi in un progetto sociale, non hai proprio il tempo materiale di perseguirlo; e per cosa!? Non possiamo sostituire le attivita’ concrete con 6 mesi di burocrazia. Non possiamo stare fermi per 6 mesi a cercare di interpretare una normativa che a forza di perseguire l’impossibile ti obbliga a fare cose diseconomiche, che cioe’ per una noprofit (ie: zero soldi o quasi) sono la morte. Per lo meno io non ho intenzione di sprecare il mio tempo cosi’; ho gia’ dato; fatti un giro in rete tra il 2006 e il 2007 e mi vedrai tutto preso a scrivere, pubblicare, fare talk, etc; 3 anni di smanettamento selvaggio chiuso in casa, piu’ 2 anni di evangelismo wireless per strada; poi se tu e altri vi volete ostinare a considerare le normative come fossero software (codice orientato alle macchine) fate pure… ma e’ una grande illusione che vi sta impedendo di procedere nel vostro progetto (e molto di piu’). Un abbraccio.

  9. mfp Says:

    Ho trovato una sintesi della roba qui sopra, Metalegge di Lilly: “Le leggi sono simulazioni della realtà”.